Secondo l’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997 “presupposto dell'imposta è l'esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”.
Ebbene, detta sentenza chiarisce il concetto di “autonoma
organizzazione” applicata ai professionisti, nonché il conseguente
articolarsi dell’onere probatorio.
Nella fattispecie in esame, un avvocato, destinatario di cartella di pagamento
relativa all’IRAP dell’anno 2002, impugnava l’atto in dinanzi alla
Commissione tributaria provinciale di Modena. Sia la Commissione sia la Commissione tributaria regionale dell’Emilia confermavano la legittimità della cartella di pagamento.
In particolare, la CTR riteneva che il contribuente “in grado di svolgere da solo la sua attività è necessariamente dotato di autonoma organizzazione”.
Il professionista è ricorso, dunque, in Cassazione deducendo tre motivi:
a) violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., avendo errato la CTR nel ritenere il ricorrente soggetto passivo IRAP non disponendo di autonoma organizzazione;
b) difetto di motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. non avendo il giudice d’appello motivato in ordine alla “organizzazione del ricorrente”;
c) formazione del giudicato esterno, successivo alla sentenza impugnata, con riguardo al periodo d’imposta 2003. In relazione a tale anno, infatti, è intervenuta sentenza della CTR dell’Emilia n. 50/15/2009, divenuta definitiva, che ha accertato l’assenza in capo al medesimo contribuente di autonoma organizzazione con conseguente non assoggettabilità ad IRAP.
La Corte di Cassazione ha analizzato in primis il motivo attinente al giudicato esterno.
Secondo i giudici di legittimità “il
giudicato relativo ad un singolo periodo di imposta non è idoneo a far
stato per i successivi o i precedenti in via generalizzata e aspecifica.
Simile efficacia va infatti riconosciuta solo a quelle
situazioni relative a ‘qualificazioni giuridiche’ o ad altri eventuali
‘elementi preliminari’ rispetto ai quali possa dirsi sussistente un
interesse protetto avente carattere di durevolezza nel tempo, non
estendendosi a tutti i punti che costituiscono antecedente logico della
decisione ed in particolare alla valutazione delle prove ed alla ricostruzione dei fatti”.
Una volta escluso che la sentenza emessa con riferimento all’anno 2003
possa fare stato in relazione all’anno di imposta 2002, la Corte passa
ad affrontare congiuntamente gli altri due motivi del ricorso, aventi ad
oggetto l’accertamento dell’ “autonoma organizzazione”.
I giudici partono dal principio secondo cui l’esercizio delle attività
di lavoro autonomo è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto
qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il relativo
accertamento, evidenzia la Corte, compete al giudice di merito ed è
insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato.
La
motivazione del giudice di merito, in particolare, deve riguardare
l’accertamento in merito all’impiego di beni strumentali eccedenti,
secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per
l’esercizio dell’attività professionale nonché l’utilizzo da parte del
professionista, in modo non occasionale, di lavoro altrui.
Dal punto di vista degli oneri probatori, grava sul contribuente fornire la prova dell’assenza delle condizioni anzidette (Cass. n. 3676, n. 3673, n. 3678, n. 3680 del 2007).
La Corte di Cassazione, nella fattispecie, cassa la sentenza della CTR in quanto “la
motivazione della sentenza impugnata - secondo cui l’attività del
contribuente è anche autonomamente organizzata perché, quella piccola
organizzazione che dichiara d’avere è adeguata all’attività che svolge
ed è autonoma perché non dipende dal committente - non consente di
individuare i fatti ritenuti giuridicamente rilevanti in ordine alla
affermata imposizione Irap, non evidenziando gli elementi considerati o i
presupposti della decisione ed impedendo ogni controllo sul percorso
logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del
Giudice”.
La Corte aggiunge, poi, che “a fronte delle puntuali censure formulate
dal ricorrente, con riguardo alla mancanza di una propria struttura
organizzativa, della mancanza di dipendenti, della utilizzazione di
modesti beni strumentali, nonché della affermazione di avere usufruito
della struttura organizzativa della Cremonini s.p.a. e dell’ospitalità
dello studio M. e Associati in Modena la motivazione si appalesa
insufficientemente e non congruamente motivata avendo anche
apoditticamente affermato che ‘il contribuente che è in grado di
svolgere da solo la sua attività è necessariamente dotato di autonoma
organizzazione’ “.
Alla luce di ciò, la Corte di Cassazione cassa la sentenza della CTR rinviando ad altra sezione della stessa Commissione.
IN TAL SENSO VI SEGNALANO:
Precedenti giurisprudenziali conformi: il professionista deve provare l’assenza di autonoma organizzazione
La sentenza in commento ribadisce principi già affermati negli ultimi
anni da diverse sentenze, sia di legittimità sia di merito. Come
stabilito da Cass. n. 14379 del 15 giugno 2010 l’autonoma organizzazione deve consistere in un “apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui” e in grado di “potenziare” l’attività intellettuale del professionista (Cass. n. 21989 del 16 ottobre 2009). Al contrario non sussiste autonoma organizzazione “ove
in concreto i mezzi personali e materiali di cui si sia avvalso il
contribuente costituiscano un mero ausilio alla sua attività personale” (CTP Lecce n. 490/04/10 del 21 dicembre 2010).
Al riguardo giova richiamare Cass. n. 3678 del 16 febbraio 2007 secondo la quale “va
condivisa la tesi che legittima l’imposizione solo a cospetto di una
struttura organizzativa esterna del lavoro autonomo e cioè quel
complesso di fattori dei quali il professionista si avvale e che per
numero e importanza sono suscettibili di creare valore aggiunto rispetto
alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know-how”.
A sua volta la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 24117 del 28 dicembre 2012 ha posto in luce come i beni strumentali impiegati nell’esercizio dell’attività devono essere valutati “nel quadro della realtà scientifica e/o tecnologica”.
Sul nesso tra beni strumentali e tipologia di attività esercitata dal contribuente meritevole di pregio è CTR Veneto n. 36 del 26/03/2013: “stando
alla documentazione versata in causa, sebbene il valore dei cespiti
ammortizzabili e dei beni strumentali sia assai elevata, non può essere
trascurato, a differenza di quanto deciso dal primo giudice, il fatto
che l'appellante, svolgendo attività di medico specialista oculista, non
può che utilizzare macchinari e strumentazione assai costosa, ma si
tratta, appunto, della strumentazione senza la quale l'attività non
potrebbe essere oggi efficacemente svolta: si tratta di strumentazione
assolutamente necessaria. Ne deriva che l'elemento di valutazione
rappresentato dal valore di tale strumentazione non può giustificare, di
per sé, in assenza di altri elementi, l'esistenza di una autonoma
organizzazione, come, invece, si potrebbe ritenere in altri casi di
attività che non richiedono necessariamente l'impiego di macchinari
costosi (in relazione alle quali, appunto, l'esistenza di beni
strumentali di elevato valore potrebbe essere indice di una autonoma
organizzazione)”.
Secondo Cass. n. 12967 del 24 maggio 2013 l’accertamento
dell’assenza di autonoma organizzazione spetta al giudice di merito ed è
insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato.
In particolare, il presupposto dell’autonoma organizzazione ricorre
quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile
dell'organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture
organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b)
impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit,
il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di
organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro
altrui.
Costituisce, tuttavia, onere del contribuente, che chieda il rimborso
dell'imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell'assenza delle
predette condizioni
Da ultimo, va segnalata la sentenza della CTR Bari-Sez. Lecce, n. 197 del 26 luglio 2013 secondo
cui l’IRAP colpisce il valore aggiunto prodotto da una attività,
essendo un’imposta reale e non già personale. Il professionista, in
sostanza, deve disporre di mezzi che eccedano il minimo indispensabile
perché l’attività possa essere compiuta.
Nella fattispecie, il professionista aveva dimostrato come i beni
strumentali fossero di valore modesto e, dal punto di vista qualitativo,
rappresentavano strumenti essenziali in relazione alla tipologia di
attività svolta. Inoltre, le spese sostenute per l’attività (quote di
ammortamento e spese per immobili) erano assolutamente esigue.
Sulla scorta delle predette prove, la Commissione regionale ha
riconosciuto il rimborso dell’IRAP, riformando totalmente la precedente
sentenza della Commissione tributaria provinciale.
Precedenti giurisprudenziali difformi: le professioni cd. protette sono sempre escluse da assoggettamento ad IRAP
L’IRAP non è mai applicabile alle professioni cd. protette. E’ questa
la conclusione a cui è giuntala recente sentenza della Commissione
tributaria regionale del Lazio n. 238 del 22 aprile 2013.
La fattispecie analizzata dalla Commissione laziale riguardava un
geometra destinatario di una cartella di pagamento recante IRAP con
riferimento all’anno 2005. La Commissione tributaria provinciale di
Viterbo aveva accolto il ricorso del contribuente ritenendo che nella
specie mancassero elementi tali da far prefigurare una autonoma
organizzazione.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello sostenendo che nella
fattispecie è invece sussistente l’autonoma organizzazione dovendosi
ritenere l’organizzazione stessa quale condizione intrinseca
dell’attività di libera professione.
Nel suo percorso argomentativo, la CTR Lazio parte dalla distinzione,
rinveniente nell’ordinamento tributario, tra attività di lavoro autonomo
e attività di impresa. Le due attività, afferma la Commissione, sono
disciplinate separatamente in quanto caratterizzate da differente
natura. Infatti, l’attività di impresa si basa sull’organizzazione che è
data da un complesso di beni strumentali funzionalmente collegati tra
loro al fine dell’esercizio dell’impresa, tanto da assumere le
caratteristiche di un quid pluris rispetto all’attività di lavoro
personale dello stesso imprenditore. Diversamente, nell’ambito
dell’attività di lavoro autonomo, l’organizzazione dei fattori
produttivi è di regola assente. In modo particolare, nelle cd.
professioni intellettuali o protette, non è assolutamente configurabile,
in via di principio, l’esistenza di un’organizzazione di beni che possa
funzionare separatamente e indipendentemente dall’intervento del
professionista.
Secondo la sentenza in commento, in particolare, le attività
professionali quali quelle del geometra, dell’ingegnere, dell’avvocato,
del notaio, dell’agente di commercio non possono svolgersi senza
l’apporto del professionista. Ne discende che per quanto possa essere
minima l’organizzazione professionale della quale egli si serve, la sua
presenza nell’esercizio dell’attività sarà sempre indispensabile.
Inoltre, per quanto ampia e sofisticata sia l’organizzazione, sarà
sempre e comunque necessario fare riferimento alla presenza personale
del professionista perché l’attività di questi possa effettivamente
svolgersi.
Il collegio laziale, dunque, interpreta il concetto di “autonoma
organizzazione” in chiave qualitativa non già quantitativa. In
particolare, si configura l’autonoma organizzazione laddove vi è una
struttura in grado di funzionare anche in assenza del titolare. Laddove,
invece, l’apporto personale del professionista è indispensabile (ad
esempio nelle prestazioni caratterizzate da intuitu personae) non vi potrà mai essere un’autonoma organizzazione.
L’indagine sulla natura della prestazione, pertanto, assorbe quella di
carattere quantitativo incentrata sulla “dimensione” dei fattori
produttivi organizzati dal professionista (beni strumentali, lavoratori
dipendenti e collaboratori, forme di finanziamento, etc.).
Come visto nel precedente paragrafo, la Corte di Cassazione esclude che
le professioni cd. protette o intellettuali siano carenti per ciò solo
di autonoma organizzazione. E’ necessario invece, così come per tutte
la attività di lavoro autonomo, accertare in concreto il requisito
della autonoma organizzazione, verificando se esista una struttura di
supporto in grado di realizzare un incremento potenziale alla
produttività propria del lavoro personale.
La sentenza della Ctr Lazio va, invece, in direzione completamente
opposta interpretando la nozione di autonoma organizzazione in chiave
qualitativa, come capacità dell'organizzazione di fornire un servizio
indipendentemente dall'intervento personale del professionista. Capacità
di regola esclusa nelle professioni cd. protette.
(fonte: www.altalex.com)